#il mio nome e nessuno
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illustraction · 6 months ago
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MY NAME IS NOBODY / A GENIUS TWO FRIENDS AND A DUPE (1973-1975) - SPAGHETTI & OTHER RECIPES' WESTERNS (Part 2/10)
While the Spaghetti Western genre is often associated with violence and dark heroes, its popularity spawned a sub genre, i.e. the Comedy Westerns led by Terence Hill with the Trinity series (see Part 10) and culminating with the Sergio Leone produced My Name Is Nobody in 1973 followed by its lesser sequel A Genius Two Friends And A Dupe in 1975.
Above are posters from Belgium, France, Italy, Japan, the US and ex-Yugosalvia (click on each image for details).
Director: Tonino Valerii, Damiano Damiani Actors: Terence Hill, Henry Fonda, Robert Charlebois, Patrick McGoohan, Klaus Kinski, Miou-Miou
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The posters above courtesy of ILLUSTRACTION GALLERY
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ideeperscrittori · 7 days ago
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ULTIME ORE SU X
Ultime ore su X. Sto scaricando l'archivio dei miei tweet: ci vorranno 24 ore.
Per me non è stato facile uscirne. Ci sono da 14 anni. Li è nato questo mio alterego col barattolo che uso per sfogarmi su qualsiasi cosa. Posso senz'altro dire, senza vergognarmene, che Twitter (mi piace chiamarlo col suo vecchio nome) fa parte della mia storia personale.
Ho scritto 67.197 tweet. Potrebbero riempire diversi libri. Sono così tanti che alcuni (per la legge dei grandi numeri, non perché io sia bravo) hanno fatto il giro del web. Con la disattivazione del mio profilo si perderà "la fonte". A chi li ha copiati per ottenere un pugno di like, dico: complimenti, hai vinto!
Non esco con la convinzione di fare chissà quale gesto rivoluzionario. Non esistono i "social etici", a parte Mastodon che non appartiene a nessuno.
Esco per motivi molti più prosaici. La disparità di trattamento fra chi paga e chi non paga su X è davvero troppo grande per i miei gusti. Mi sembra stupido buttare del tempo in un social che ormai condiziona pesantemente la visibilità dei contenuti alla presenza di un abbonamento. E poi frequento troppi social: IG, Bluesky, Threads, Tumblr, Telegram: in tutti i casi come ideeperscrittori. L'unico social che non ho mai frequentato è TikTok perché non volevo umiliare le altre persone con il mio notevolissimo talento nel ballo vincendo tutte le "challenge".
Quindi niente, si chiude un capitolo importante per me: per tutti gli altri questa cosa rappresenta un immenso "qu3l gr4n c4zz0 ch3 m3 ne fr3g4", me ne rendo conto.
Ogni tanto a qualcosa bisogna rinunciare. E rinuncio volentieri a X.
[L'Ideota]
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solosepensi · 10 months ago
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Discorso all’umanità
Mi dispiace, ma io non voglio fare l’Imperatore, non è il mio mestiere, non voglio governare ne conquistare nessuno, vorrei aiutare tutti se possibile, ebrei, ariani, uomini neri e bianchi, tutti noi esseri umani dovremmo aiutarci sempre, dovremmo godere soltanto della felicità del prossimo, non odiarci e disprezzarci l’un l’altro. In questo mondo c’è posto per tutti, la natura è ricca, è sufficiente per tutti noi, la vita può essere felice e magnifica, ma noi lo abbiamo dimenticato. L’avidità ha avvelenato i nostri cuori, ha precipitato il mondo nell'odio, ci ha condotti a passo d’oca fra le cose più abbiette, abbiamo i mezzi per spaziare, ma ci siamo chiusi in noi stessi. La macchina dell’abbondanza ci ha dato povertà, la scienza ci ha trasformato in cinici, l’avidità ci ha resi duri e cattivi, pensiamo troppo e sentiamo poco. Più che macchinari ci serve umanità, più che abilità ci serve bontà e gentilezza, senza queste qualità la vita è violenza e tutto è perduto. L’aviazione e la radio hanno riavvicinato le genti, la natura stessa di queste invenzioni reclama la bontà nell'uomo, reclama la fratellanza universale, l’unione dell’umanità. Perfino ora la mia voce raggiunge milioni di persone nel mondo, milioni di uomini, donne e bambini disperati, vittime di un sistema che impone agli uomini di torturare e imprigionare gente innocente. A coloro che mi odono, io dico, non disperate! L’avidità che ci comanda è solamente un male passeggero, l’amarezza di uomini che temono le vie del progresso umano. L’odio degli uomini scompare insieme ai dittatori e il potere che hanno tolto al popolo ritornerà al popolo e qualsiasi mezzo usino la libertà non può essere soppressa.
Soldati! Non cedete a dei bruti, uomini che vi disprezzano e vi sfruttano, che vi dicono come vivere, cosa fare, cosa dire, cosa pensare, che vi irreggimentano, vi condizionano, vi trattano come bestie. Non vi consegnate a questa gente senza un’anima, uomini macchina, con macchine al posto del cervello e del cuore. Voi non siete macchine, voi non siete bestie, siete uomini!
Voi avete l’amore dell’umanità nel cuore, voi non odiate, coloro che odiano sono quelli che non hanno l’amore altrui. Soldati! Non difendete la schiavitù, ma la libertà! Ricordate nel Vangelo di S. Luca è scritto – “Il Regno di Dio è nel cuore dell’uomo” – non di un solo uomo o di un gruppo di uomini, ma di tutti gli uomini. Voi ,voi il popolo avete la forza di creare le macchine, la forza di creare la felicità, voi il popolo avete la forza di fare che la vita sia bella e libera, di fare di questa vita una splendida avventura. Quindi in nome della democrazia usiamo questa forza, uniamoci tutti! Combattiamo per un mondo nuovo che sia migliore, che dia a tutti gli uomini lavoro, ai giovani un futuro, ai vecchi la sicurezza. Promettendovi queste cose dei bruti sono andati al potere, mentivano! Non hanno mantenuto quelle promesse e mai lo faranno! I dittatori forse sono liberi perché rendono schiavi il popolo. Allora combattiamo per mantenere quelle promesse, combattiamo per liberare il mondo, eliminando confini e barriere, eliminando l’avidità, l’odio e l’intolleranza. Combattiamo per un mondo ragionevole, un mondo in cui la scienza e il progresso diano a tutti gli uomini il benessere. Soldati, nel nome della democrazia siate tutti uniti!
Hannah puoi sentirmi? Dovunque tu sia abbi fiducia. Guarda in alto Hannah le nuvole si diradano, comincia a splendere il sole. Prima o poi usciremo dall'oscurità verso la luce e vivremo in un mondo nuovo, un mondo più buono in cui gli uomini si solleveranno al di sopra della loro avidità, del loro odio, della loro brutalità. Guarda in alto Hannah l’animo umano troverà le sue ali e finalmente comincerà a volare, a volare sull'arcobaleno verso la luce della speranza, verso il futuro. Il glorioso futuro che appartiene a te, a me, a tutti noi. Guarda in alto Hannah, lassù.
Charlie Chaplin - Discorso all’umanità
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kon-igi · 10 months ago
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CHIAMA I RICORDI COL LORO NOME
Nel 2019, la mia compagna, le mie figlie e io decidemmo di intraprendere un percorso che alla fine ci avrebbe portato a diventare la famiglia affidataria di un minore e questo implicava un sacco di incontri, singoli e di gruppo, con cui assistenti sociali e operatori valutavano la nostra capacità di accudimento e contemporaneamente ci informavano e ci formavano su cosa significasse prendersi cura di un minore in modo continuativo ma parallelamente alla famiglia biologica, con la quale dovevamo rimanere sempre in contatto.
(anticipo che poi la cosa finì in un nulla di fatto perché poco dopo scoppiò il caso Bibbiano - 30 km in linea d'aria da Parma - e per precauzione/paura tutti gli affidi subirono un arresto. E poi arrivò il Covid)
La mia riflessione nasce alla lontana da un video che youtube mi ha suggerito questa mattina presto - è poco importante ai fini della storia ma è questo - che mi ha ricordato una caratteristica della mia infanzia...
Difficilmente riuscivo a essere felice per le cose che rendevano felici gli altri e quella vecchia canzone - che è considerato l'Inno del Carnevale di Viareggio, mio luogo di nascita e dei primi 20 anni di vita - ne è l'esempio emblematico, direi quasi sinestesico.
Tutti i viareggini la conoscono e la cantano nel periodo più divertente e frenetico della città ma io la associo a un'allegria dalla quale ero sovente escluso, odore di zucchero filato che non mangiavo e domeniche che significavano solo che l'indomani sarei tornato a scuola, preso in giro dai compagni e snobbato dalla maestra.
Vabbe'... first world problem in confronto ad altri vissuti (in fondo ero amato e accudito) però l'effetto a distanza di anni è ancora questo.
Tornando al quasi presente, una sera le assistenti sociali chiesero al nostro gruppo di futuri genitori affidatari di rievocare a turno prima un ricordo triste e poi uno felice.
E in quel momento ebbi la rivelazione che la quasi totalità dei presenti voleva dare amore a un bambino o a una bambina non propri perché sapeva in prima persona cosa significasse vivere senza quell'amore: gli episodi raccontati a turno non era tristi, erano terribili... violenza, abbandono, soprusi, povertà e ingiustizie impensabili nei confronti di bambino piccolo e, ovviamente, quando arrivò il nostro turno (la mia compagna non ne voleva sapere di aprire bocca) mi sentivo così fortunato e quasi un impostore che, in modo che voleva essere catartico e autoironico, raccontai di quando la maestra in terza o in quarta elementare chiamò un prete che davanti a tutta la classe mi schizzò di acqua santa perché - a detta della vecchia carampana - sicuramente ero indiavolato.
Ribadisco che la cosa voleva essere intesa come un modo per riderci su e detendere l'atmosfera pesante che il racconto dei vissuti terribili aveva fatto calare sul gruppo ma mentre sto mimando con una risatina il gesto del prete con l'aspersorio, mi accorgo che tutti i presenti hanno sgranato gli occhi e hanno dilatato le narici, nella più classica delle espressioni che indicano un sentimento infraintendibile...
La furia dell'indignazione.
Cioè... tu a 10 anni hai visto tua madre pestata a sangue da tuo padre e fatta tacere con un coltello alla gola ed empatizzi con me che ti sto raccontando una stronzata buona per uno sketch su Italia Uno?
Mi sono sentito uno stronzo, soprattutto quando la furia ha lasciato il posto a gesti e parole DI CONFORTO per quello che, evidentemente, sembrava loro una prevaricazione esistenziale orribile (cioè, lo era ma, per cortesia... senso delle proporzioni, signori della giuria).
Mi sono quindi rimesso a sedere, incassando il supporto con un certo qual senso di vergogna, finché poi non è arrivato il momento della condivisione dei momenti felici.
Silenzio di tomba.
Nessuno parlava.
Nessuno riusciva a ricordare qualcosa che lo avesse reso felice.
Con un nodo in gola - perché avevo capito che razza di vita avevano avuto le persone attorno a me - mi rendo conto che io ne avevo MIGLIAIA di momenti felici da condividere ma che ognuno di essi sarebbe stato una spina che avrei conficcato nel loro cuore con le mie stesse mani.
E allora mi alzo e rievoco ad alta voce il ricordo felice per me più antico, quello che ancora ora, a distanza di decenni, rimane saldo e vivido nella parte più profonda del mio cuore...
-Le palle di Natale con la lucina rossa dentro. Quando ero piccolo, durante le vacanze di Natale aspettavo che mio papà e mia mamma andassero a letto e poi mi alzavo per andare a guardare l'albero... non i regali sotto, proprio l'albero. Era finto, di plastica bianca spennachiosa, ma mia mamma avvolgeva sempre intorno alla base una striscia decorativa verde a formare una ghirlanda e mio padre stendeva tutto attorno ai rami un filo con delle palle che, una volta attaccate alla presa elettrica, si illuminavano di rosso. Io mi alzavo di nascosto e nel caldo silenzio della notte guardavo le luci intermittenti dipingere gli angoli del divano e del tavolo, con un sottile ronzio che andava e veniva. Ero al caldo, ero protetto, voluto e amato. Se allungo le mani posso ancora tastare quel ronzio rosso che riempe la silenziosa distanza tra me e l'albero e niente potrà mai rendere quella sensazione di calda pienezza meno potente od offuscarne la completezza. Quello era l'amore che mi veniva dato e che a nessuno sarebbe mai dovuto mancare.
A un certo punto sento una mano che mi si poggia sul braccio (avevo chiuso gli occhi per rievocare il ricordo) e accanto a me c'è la mia compagna che sorride, triste e piena di amore allo stesso tempo.
E attorno a me tutti stanno piangendo in silenzio, esattamente quello che col mio ricordo semplice volevo evitare e che invece doveva aver toccato lo stesso luogo profondo del loro cuore.
E in mezzo alle lacrime (che figuriamoci se a quel punto il sottoscritto frignone è riuscito a trattenere) cominciano a scavare tra i ricordi e a tirarli fuori... il cucciolo che si lasciava accarezzare attraverso il cancello della vicina, il primo sorso dalla bottiglietta di vetro di cedrata, la polvere di un campetto da calcio che si appiccicava sulla pelle sudata, l'odore della cantina, il giradischi a pile...
E nulla. Non so più cosa dire e nemmeno cosa volessi dire.
Forse che sembriamo così piccoli, malmessi e fragili ma che se qualcuno ci picchietta sulla testa e sul cuore siamo capaci di riempire il mondo di cose terribili e meravigliose.
Decidere quali ricordare e quali stendere davanti a noi è una scelta che spetta non a chi picchietta ma a chi permette che essi fluiscano da quella parte profonda di sé a riempire lo spazio tra noi e il domani.
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susieporta · 5 months ago
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Qualche estate fa tornavo dalla spiaggia di Arma piangendo per strada.
Mi sono sentita chiamare, almeno due volte; mi sono girata. C’era qualcuno su un furgoncino bianco.
⁃ Sei tu, vero? - mi ha detto.
Mi sono avvicinata per guardare meglio e ho riconosciuto uno del mio paese, più grande di me di 5, 6 anni, che non ricordavo più di aver frequentato da ragazza, nel modo in cui frequentavamo chiunque sostasse sul muretto dietro la sala giochi. L’ultima volta dovevo averlo visto nel ‘96 e ricordavo che mi era molto simpatico.
⁃ Ciao, - ho detto raggiungendo il furgone: solo ciao, il suo nome non mi veniva.
Mi sono asciugata di corsa le lacrime e d’istinto ho sciolto i capelli, ma erano sudati e crespi di sale, sarebbe stato meglio tenerli legati; pensavo, ma guarda tu se in questo stato devo incontrare uno che non vedo da decenni, uno che devo fermarmi per forza. Mi sentivo brutta e per questo colpevole. Chissà se è solo femminile il senso di colpa di essere esteticamente deludenti.
- Di’ la verità, te lo ricordi, il mio nome? - ha detto lui.
L’ho fissato annebbiata, ma quando ha messo su quella faccia piena di imbarazzo mi è tornato di colpo in mente il soprannome con cui lo prendevo in giro. Appena l’ho pronunciato lui è scoppiato a ridere.
Mi ha chiesto dei miei romanzi, gli ho chiesto del suo lavoro. Aveva la fede, un figlio a casa e uno prossimo alla nascita, che adesso avrà quasi sei anni. Abbiamo chiacchierato per una decina di minuti.
Prima di andare ho detto: - Ma come hai fatto a riconoscermi, a ricordarti?
⁃ Rosella, - ha risposto. - Nessuno può dimenticarsi di te.
Ecco, penso che ogni volta che siamo tristi e piangiamo e ci sentiamo orribili da ogni punto di vista dovremmo incontrare per caso qualcuno che ci dica che siamo indimenticabili. Sarebbe un mondo più giusto.
(Post del 2020. Lo ripropongo come un buon augurio collettivo).
Rossella Postorino
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yomersapiens · 6 months ago
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Sempre ansieme
Quando l'ansia prende il sopravvento l'unica cosa che riesco a fare è sparire, diventare una goccia di umano in un fiume di umani. Perdere ogni riferimento della persona che sono quando c'è luce, non esisto, la folla è la carne, sono uno di quei pesciolini che si fa forza insieme a mille altri pesciolini in un banco di miei simili indifferenti. Non voglio essere notato, il che è strano dato che ho dedicato la mia intera esistenza all'essere notato ma quando l'ansia sale e si mette al timone a comandare vince la corrente e andiamo dove capita. Sono finito ad una mostra di arte transmediale contemporanea e stavo messo così male che ho pure capito le opere. Cioè ho parlato con l'artista e gli ho posto delle domande e lui ha detto "Hai proprio compreso il mio lavoro non serve che io ti risponda" e io ho pensato che cazzo di paraculo dai, siamo tutti bravi a fare così. Però davvero i suoi video strani di esseri tridimensionali generati al computer mi hanno fatto sentire meglio. Ne avevo bisogno. I bar attorno alla galleria d'arte erano pieni di altri pesciolini e nessuno mi ha degnato di una parola se non l'artista che probabilmente sperava di vendermi una sua opera. L'ansia mi ha fatto fare un altro paio di migliaia di passi inaspettati e i piedi iniziano a fare male. Qualche settimana fa ero dentro al tubo della risonanza magnetica e io odio fare la risonanza magnetica perché penso sempre che troveranno qualcosa di nuovo nel mio cervello e che non saranno i resti di altrettante lampadine frantumate al suolo in un cimitero di idee geniali mancate, ma qualcosa di grave. O di nuovo. Odio le novità, basta una novità e vado in ansia. Mentre ero nel tubo e con gli occhi fissavo le mie dita e le facevo giocare ho pensato che se esiste una vita dopo la morte ecco, io spero non sia così. Spero che morire non voglia dire rendersi conto di essere in uno spazio piccolissimo e incapace di muoversi. Immagino di venire seppellito e di sentire ancora quello che accade attorno a me, qualcuno piange, qualcun altro mi rinfaccia i soldi che gli devo, poi prendono i chiodi, fissano la bara, mi calano nella fossa e poco alla volta, infarinatura di terra dopo infarinatura, resto lì, mente e anima attive, nel buio del nulla, finché i vermi non decidono di ricondizionarmi e immettermi nel mercato del concime. Nel bus ascoltavo i discorsi degli altri e immaginavo chi sarebbe andato a casa con chi, ho formato coppie casuali solo per non costringerli alla solitudine nelle mura domestiche. Ho pensato al male che ti ho fatto. In stanza mi aspetta la larva umanoide informe come sempre, questa volta però ha parlato, ha emesso un suono simile a un lamento, "Allora?" ha detto e una colata di bava gli è scesa dalla bocca priva di labbra. Ha aperto un locale a luci rosse sotto casa, qua a Vienna la prostituzione è legale, ha un nome impronunciabile e mi sono chiesto se posso fare come quando vado a mangiare il gelato ma non posso chiedere più di una pallina (due palline qua sfiorano i cinque euro) "Che mi puoi fare assaggiare cannella e granella di zolfo?" stessa cosa con le lavoratrici del locale a luci rosse "Posso assaggiare quella che sembra avere meno autostima?". Io non ho esperienza di locali a luci rosse, solo una volta ho assistito a uno spogliarello e mi sono addormentato davanti alla povera addetta ai lavori di smantellamento lingerie. Ero molto ubriaco, non era colpa sua. Sarei curioso di entrare e chiedere come funziona, è tipo prendere o lasciare o uno può scegliere? Ecco io sceglierei di finire annullato anche lì, perché l'ansia vince sempre e voglio diventare carta da parati, una di quelle figure appena abbozzate negli sfondi dei quadri impressionisti che non capisci se è un albero o un palo della luce o un uomo pieno di ansia.
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ma-pi-ma · 5 days ago
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Con un pezzo di carbone
con il mio gesso rotto e la mia matita rossa
tracciare il tuo nome
il nome della tua bocca
il segno delle tue gambe
sulla parete di nessuno
Sulla porta proibita
incidere il nome del tuo corpo
finché il filo del mio coltello
sanguini
e la pietra gridi
e il muro respiri come un petto.
Octavio Paz, da Salamandra, 1962
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der-papero · 7 months ago
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Ieri ho visto C'è ancora domani (qualche cinema qui in Germania lo proietta in lingua originale con i sottotitoli) e stamattina riflettevo sul fatto curioso e un po' malinconico che non entro in una cabina elettorale da 7 anni. Non mi appartiene più quel gesto simbolico di lasciar cadere la scheda nell'urna, di prepararsi a modo per recarsi al seggio, sentire tutto il vociare delle parti politiche in gioco, salutare una di quelle persone che vedi di rado ma che proprio il giorno del voto te la trovi davanti, tutta una serie di gesti piccoli e grandi che davano quell'aura di solennità alla partecipazione pubblica.
Adesso voto col pigiama, sciatto, come la peggior mattina di uno dei tanti Pasquale Ametrano, inserendo schede in una busta con tanto di tagliandini e altre robe identificative, per poi recarmi, nella più completa solitudine sociale, in tuta e ciabatte, verso la cassetta delle lettere dietro casa, a compiere un gesto che, per carità, è importante allo stesso modo, ma senza avere nessuno da ringraziare o al quale augurare buona giornata, senza sentire il suono del mio nome mentre l'addetto scorre l'elenco dei partecipanti al voto di quella sezione, senza vedere le facce un po' sorridenti un po' tese di quelle persone che su quel voto ci stanno scommettendo più di una croce su una casella e come va va.
Come nello smart-working, anche in questa sorta di smart-voting si perde tutto l'umano che c'è dietro un gesto, non ne faccio un dramma, per carità, è solo una nota amara dietro un impegno importante comunque lo si operi.
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angelap3 · 8 months ago
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Non la leggerà nessuno...è troppo lunga
Noi siamo nel nostro corpo e anche fuori. Non c’è nessuno che raccoglie il sudore con cui abbiamo aperto la portiera di una macchina in un pomeriggio estivo, non c’è nessuno che conserva lo sguardo con cui abbiamo guardato un cane in un’alba invernale. La nostra vita non ha un dio che la segue e neppure un dio che la precede. Si svolge in disordine, nel disordine delle altre creature. Da qualche parte c’è un albero che potrebbe rimproverarci di avergli staccato una foglia in un momento di distrazione. Non ricordiamo il nome di un vecchio che davanti a una fontana riempiva una bottiglia d’acqua. Non c’è un deposito per queste scene.
Ora ho il cuore come un pulcino e la punta si solleva, si apre, come se potessi nutrirlo di qualcosa. Posso solo scrivere, caro mio cuore, non posso darti altro a quest’ora. Sono le due di notte, non posso chiamare nessuno. Qui non ho neppure la connessione, non posso connettermi con qualche nottambulo in rete. Domani mattina, se vuoi, possiamo andare in un paese. Facciamo quello che abbiamo fatto sempre. Io guardo e tu se vuoi mi fai paura, mi fai credere che ti stai spaccando, lo hai fatto tante volte. La morte passa per il cuore. O forse sei tu caro mio cuore a passare per la morte e io ti seguo mentre fingo di fare la mia vita, io sto con te, cerco di proteggerti perché sei tu che mi fai camminare, sei tu che ti gonfi nell’amarezza e ti fai timido nella gioia. Ora io potrei dormire, lasciarti solo in questa stanza. Non so cosa fai di notte quando non ci sono, quando mi giro nel letto per finire un sogno. Io e te insieme non abbiamo risolto niente, non ci siamo dati nessuna felicità, l’abbiamo sempre evitata. Io e te quando stiamo con gli altri siamo a disagio, perché parliamo tra di noi e non con loro. Ora tu sei diventato una ripida salita e vorresti che io salissi fino in cima. A volte ti fai lago con un mulinello in mezzo. E mi ricordo di quando stavi appoggiato al centro di una ragnatela. In macchina, quando prendevo un fosso, temevo che potessi cadere, come se nel corpo ci fosse il vuoto, come se avessi solo te caro mio cuore nel mio corpo. Per farti spazio me ne sono uscito pure io dal mio corpo, non so quando è accaduto. E non ho lasciato entrare niente, è un cinema senza sedie il mio corpo, una chiesa senza banchi. Sei di nuovo deluso questa sera, lo so, tu ti fai sempre deludere. La realtà non è il tuo posto, non so se il tuo disagio dipende da come marcia il mondo, penso che sia per altro, e non lo sappiamo né tu né io cosa sia.
Ora mi fai male o sono io che ti faccio male. Io so che non sei un muscolo ma una bestia. Chi vede in me una bestia è perché sta vedendo te. Io quando scrivo cerco di farti vedere, mi piace esporti ma non ci riesco. Come si fa a dire quello che sento adesso sulla tua punta, un misto di amaro e debolezza, una crepa e un coltello, tu sei una voragine con me dentro. Ma ogni cuore ha un peso, ogni cuore si strofina a un muro, ogni cuore ha un buio alle sue spalle che nessuno illuminerà mai. I cuori sono come i paesi, non ce ne sono due uguali. Comunque dovremmo farcela ad arrivare fino a domani e può darsi anche che ci sia il sole. Lo so che il sole ti piace e ti fa stare tranquillo. Non saremo felici, stanne certo, ci sarà sempre qualcuno che proverà a incentivare la nostra pena, a sminuire la gioia appena accenna a prendere corpo. Non sono paranoico, credimi, è che forse io e te non stiamo bene insieme, sappiamo solo spiarci, siamo troppo gelosi uno dell’altro. Ora non so più che dirti, che dire. Non ti so dare una soluzione, un luogo, una vita che ci possa esaudire. Posso darti la mia impazienza come tu mi dai la tua. So che fino a quando moriremo sarà sempre così, non avremo pace. E va bene, lo abbiamo detto, lo abbiamo ripetuto, chi voleva saperlo lo ha saputo...
Franco Arminio (Lettera al mio cuore)
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passeracea · 6 months ago
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Ospedale, interno giorno. Cambio turno e cazzate
Nel mio reparto tra infermieri spaziamo dai 22 ai 64 anni, inevitabilmente il gap generazionale si avverte ma nonostante questo andiamo d'accordo e riusciamo a lavorare insieme discretamente, e credo sia quasi un miracolo. Ma stavo dicendo che qualche giorno fa al cambio turno durante un inaspettato momento di calma parlavamo di queste differenze di età, e una collega ci chiede che differenza c'è tra boomer e millennial ecc...al che ci lanciamo in varie discussioni e spiegazioni sulle varie generazioni boomer, gen x, millennial e via dicendo. Ci chiede dettagli, spieghiamo, pare aver capito. A un certo punto si crea uno di quegli attimi di silenzio in cui anche se si è presi in una discussione nessuno dice niente per un secondo (avrà un nome questa cosa?), e in quell'attimo lei ad alta voce candidamente mi chiede: ma quindi MILF che generazione è? Abbiamo dovuto darle altre spiegazioni, tra risate incontenibili che hanno richiamato anche alcuni medici e la caposala dallo studio adiacente, e per un momento abbiamo davvero riso tutti come non ci capitava da tanto tempo. E sì lo so che ora i caposala si chiamano coordinatori. Ogni tanto il mio lavoro è divertente.
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parlamitucheiononmiparlopiu · 2 months ago
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pensavo, perché ultimamente non faccio altro; mi perdo tra le onde dei miei pensieri dissociandomi completamente dalla realtà. Presa in ostaggio dalla mia mente.
Pensavo, ho questo blog dal 2013, ero una bambina, non avevo idea di come mi avrebbe cambiata la vita, quante volte avrei preso porte sbattute sul muso da chi amavo. Avevo tredici anni ed avevo ancora tutto, solo che non lo sapevo. Mio padre era ancora al mio fianco e nonostante il nostro rapporto complicato e travagliato, ero contenta fosse lì per tutte le volte in cui, non sapendo risolvere un problema, interveniva con il suo sostegno. Avevo una casa, da chiamare casa, da sentire casa, mura salde e stabili, sicure e calde, un posto in cui correre dopo ogni giornata storta. Avevo un sorriso, le persone più vicine a me avevano un sorriso. Avevo tredici anni e soffrivo perché provavo un amore platonico per una persona conosciuta qui, nel pieno della sua adolescenza, nel pieno della mia infanzia. È stata la prima volta che ho capito cosa significasse non essere amati. Avevo quattordici anni quando il mio mondo, la mia casa, le persone a me più vicine sono crollate. Avevo quattordici anni e cercavo me stessa sotto le macerie di ciò che era rimasto cercando di rimettere in piedi ciò che non avevo apprezzato abbastanza. Sono rimasta qui, a scrivere, anno dopo anno, passo dopo passo, mattone dopo mattone, ho ricostruito la mia vita, ho costruito il mio dolore, forte e potente come mai nessuno è riuscito ad amarmi per poterlo cancellare o, almeno, lenire.
Ora ho ventiquattro anni, metto le mie fragilità in piazza, perché essere fragili è diverso dall'essere deboli. Metto le mie fragilità in piazza cosicché, chi come me, possa non sentirsi solo. Ho ventiquattro anni, sto per laurearmi, lavoro, ho un nome, sono cresciuta. Ma c'è una cosa che non è cambiata dai tredici ai ventiquattro, ed è che so perfettamente come ci si sente a non essere amata. So come ci si sente a togliere da se stessi tutto il bene per donarlo all'altra persona, per poi vedere che l'altra persona non valorizza nemmeno una briciola di tutto ciò che gli hai dato. Dai tredici ai ventiquattro ho amato persone che non mi hanno amata, ho amato chi mi ha usata, chi mi ha tormentata, chi ha giocato a calcetto con il mio cuore, chi non ha mai desiderato avermi accanto ma stava lì solo per prendersi ciò che davo.
Ho ventiquattro anni e conosco il dolore in ogni forma, in ogni colore, in ogni modo ed in ogni sapore. Ma dell'amore reciproco, io non ne so proprio niente.
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scorcidipoesia · 3 days ago
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Ricordami
come un uccellino caduto inavvertitamente da un ramo e destinato al cielo.
Ricordami come il profumo dell’aria dopo la pioggia nel bosco, quando i monti svettano all’improvviso e riesci a scorgere la neve eterna o come il sale spumeggiante del mare il mattino presto, quando nessuno ha ancora calpestato la sabbia e puoi vedervi le impronte dei gabbiani di notte.
Ricordami come la visionaria che si amalgamava a fatica nella vita ordinaria, fragile come un cristallo ma i cui cocci caduti ti faranno sanguinare.
Ricordami come un vento che ti porta avanti nell’estate e ti solleva rinfrescandoti le membra per un sole troppo deciso o come la pioggia che cadrà lenta nelle giornate buie in cui vedrai le luci delle case degli altri e il silenzio della tua sarà assordante.
Ricordami come un miraggio scampato alla morte e per questo così fragrante ,risentimi nel profumo del pane fresco e nelle piccole cose che nessuno vede , nei passi sul selciato che scricchiolano e restano nelle tue scarpe perfette, nei tuoi programmi che finalmente adempirai. Ricordami come queste foglie che sembrano tramonti caduti anche quassù dove i colori non riescono a filtrare e restano prigionieri di nuvole che anneriscono i polmoni e la vita. Ricordami in tutti i paesaggi e persone incontrati, in tutti i silenzi che ho riempito del suono monotono delle mie solite parole, ricordami quando il muschio sarà del verde uguale ai miei occhi e il cielo assumerà il colore dei miei capelli annegando il rosso nascosto tra i panorami che incontrerai lungo le tue nuove strade. Ricordami come il silenzio del mattino quando il cuore batte all’impazzata e i pensieri fanno paura, come una bestemmia che fa male e come un tempio spoglio che continua a brillare davanti al mare blu indaco che abbiamo tanto respirato e percorso insieme anche se tu non c’eri mai. Ricordami come la solitudine, come la folla anonima, come il grigio che imbianca i tuoi capelli a sancire il tempo che perderemo, ricordami come il sonoro di un film muto e nei gesti consueti che avrai , il suono della tua voce e i cassetti del tuo armadio vuoto .
Ricordami
come un‘emozione che credevi scontata o finita, come un ritornello che continui a canticchiare nonostante tutto, tienimi stretta alle tue bugie e al corpo di tutte le donne alle quali dirai le cose che hai già detto a me. Ricordami nell’impeto dell’inizio e nella spossatezza della fine, nel cerchio della tua ombra quando cammini solo e non hai più al fianco il nulla cosmico che ti cercava, ricordami in tutte le vetrine che non guarderai e nella crema che a Natale non assaggerò e sarà sulla lingua di qualsiasi altra donna che continuerai a chiamare con il mio nome.
Tatiana Andena 2022
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libero-de-mente · 7 days ago
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INTERSTELLAR
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- Buongiorno papà, questa sera andrò al cinema a vedere Interstellar, per il suo 10° anniversario - così questa mattina mentre tentavo un approccio a una tazza di caffè bollente, con delle labbra poco convinte, ho ricevuto il buongiorno da figlio 1. L'Edward Cullen di famiglia che adora i film di Christopher Nolan.
Interstellar. Già... l'ultima volta che ho visto quel film ho lacrimato anche l'ultima goccia di liquido amniotico presente in me.
Si tratta di uno di quei film che ho salvato nella memoria esterna, un disco rigido, dove ho raccolto pellicole di vario genere.
Uno di quei film dove, per guardarlo, devo armarmi di coraggio e solitudine. 2 ore e 49 minuti di pathos, accidenti.
Credo che un viaggio incredibile, intrOstellare, lo stia facendo anche io. Come il personaggio di Joseph Cooper ho sentito l'impulso di intraprendere un viaggio alla ricerca di qualcosa di più grande. Che sta in me.
Mio padre quando se ne andò non mi promise di tornare, anche se nei sogni lo ha fatto spesso. E come nel film anche lui non è mai invecchiato ai miei occhi. Chissà come reagirebbe davanti a un figlio che ha quasi la sua stessa età, quella di quando lui partì.
Una cosa che accomuna i due protagonisti di Interstellar e IntrOstellar è il senso di responsabilità verso i propri figli. Sono loro gli obiettivi, spesso dimenticandoci dei nostri, di quello che ci farebbe stare meglio. Ho sacrificato il mio cuore sull'altare di un'anima meravigliosa lungo il mio cammino.
Esiste un diverso scorrere del tempo tra il mio corpo e la mia mente, più rapido per il primo e molto più lento per la seconda.
Mai come in questo periodo la dicotomia tra di essi è così marcata.
Vorrei un giorno tornare al me stesso di molti anni fa, avendo a disposizione giusto il tempo per spiegare alcuni modi di interpretare la vita con l'esperienza acquisita. Così da lasciare un giovane me con le giuste capacità per non incorrere in gravi errori. Spesso questi errori, come per molti di voi, hanno un nome e un cognome oltre a quelli realmente commessi con nostri ragionamenti sbagliati.
Lo sto facendo con Edward Cullen, figlio 1, e con Eric Draven, figlio 2, nei tempi e nei modi che mi concedono. Rispettando chi sono e come ragionano. Credo che mi vedano come Beetlejuice, con poteri risolutivi ma tanto goffo e pasticcione.
Ho compreso che in IntrOstellar la forza motrice di tutto è la costante ricerca dell'amore, inteso come un'indagine di un sentimento da parte di chi è cresciuto in un mondo anafettivo.
Un insegnamento condiviso con Interstellar c'è l'ho: quello di mantenere viva ogni speranza anche davanti a difficoltà insormontabili. Perché il segreto sta nel comprendere che nulla è insormontabile, ma bisogna crederci.
Se ci sarà un nuovo inizio ve lo farò... no, non lo dirò a nessuno. Se ne accorgeranno solo le persone che a me tengono davvero. Il resto può solo trasformarsi in invidia, meglio evitare che ne ho subita abbastanza.
Chiudo dicendovi "Ad astra"... ah no, questo è un altro film. L'avventura di Roy McBride è un'altra mia storia simile. A presto.
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intotheclash · 2 months ago
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Non darmi tregua, non perdonarmi mai Pestami a sangue, che ogni cosa crudele sia tu che ritorni. Non lasciarmi dormire, non darmi pace! Allora otterrò il mio regno, nascerò lentamente. Non smarrirmi come un motivetto facile, non essere carezza né guanto; Intagliami come una selce, fammi disperare. Difendi il tuo amore umano, il tuo sorriso, i tuoi capelli. Donali. Vieni a me con la tua collera secca di fosforo e squame. Grida. Vomitami sabbia in bocca, rompimi le fauci. Non mi importa ignorarti in pieno giorno, sapere che giochi faccia al sole, a viso aperto. Condividilo. Io ti chiedo la cerimonia crudele del taglio, quello che nessuno ti chiede: le spine fino all’osso. Strappami questo volto infame, obbligami a gridare finalmente il mio vero nome. Julio Cortazar - Incarico
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allecram-me · 23 days ago
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Qualitativamente, la sensazione assomiglia al panico, ma quantitativamente è più un dolorino muscolare, di quelli che si portano appresso da anni e di cui si prende consapevolezza di tanto in tanto, fino alla prossima distrazione. L’essenza è che sta cambiando di nuovo tutto, che Valerio è morto, che sono morta io in un senso diverso, la stessa me che si impegna a ricordarsi che nessuna cosa (pochissime cose) può essere più spaventosa di quel che è oramai già successo. Il volo è fissato lunedì sera: mi dico che devo decidere, ma mi stupirei di me stessa se alla fine lo prendessi. Non lo prenderò. Ma sarebbe (stato) meglio prenderlo? Dovrei scegliere la pace. La stasi. Un po’ di stasi, almeno. Fermarmi per la prima volta in quanti, dieci anni? Io con Valerio ho vissuto la mia prima rivoluzione copernicana, con lui ho sentito la pace e la stasi e la sensazione di essere a posto col tempo, nonostante non poteva esserci illusione più grande. Valerio è morto ed io ho avuto la mia seconda rivalsa, e da quando sto qui io le cose le vedo chiarissime: la bambina di tredici anni per la prima volta da sola in un paese straniero, la rappresentate di classe al liceo classico, quella che piace alle nonne, la professoressa che tiene lezioni, la donna che non deroga mai alla propria bussola morale, e quella che in ultima battuta prende quell’altro aereo, tre giorni dopo il funerale, e parla alle riunioni di laboratorio in un inglese che non ricordava di saper usare, con una voce che non sapeva di essere in grado di far sentire, e piace, se la cava, esplora la città tutta sola. Sono io, non è uno strappo: mi mancava lo spiraglio di luce giusto per cogliere il quadro nel suo complesso e vedere i puntini unirsi da soli. In tutto questo, però, manca ancora il desiderio (dov’è il desiderio?), c’è una tempistica fangosa, una cattiveria del destino per cui, quando domani sarò finalmente ed ufficialmente libera, non potrò fare nulla di ciò che avevo rimandato, ma, al contempo, posso fare molto più di quello che abbia mai osato sognare. Del resto il lavoro non è il mio sogno. Quando sono in grado, io sogno la libertà assoluta, la stasi, la pace, l’incanto di poggiare la testa sulla spalla di Valerio. E forse non pensavo avrei potuto avere di meglio, ma per natura me lo chiedevo e la risposta era sincera: niente poteva essere tanto.
Poi ci si mette la fortuna, o il destino, o il grande principio di senso del mondo che mi gioca i soliti scherzi cui ancora soccombo: stamattina a lavoro c’erano delle casse da morto (vuote), ma poi una signora mi ha fermato per dirmi quale è il nome che i residenti hanno dato ad un certo scoiattolo. I miei se ne vanno, ma devo staccare da lavoro alle 19. Mi offrono il contratto, ma dovrò dividere l’appartamento con un’altra persona. Persino l’ultima puntata di quella serie tv del cazzo che ho iniziato a vedere quando sono arrivata, e che avevo messo in pausa senza sapere quanto mancasse. Tutto incerto, ambivalente. Un po’ di morte ed un po’ di bellezza, con me al centro a gestire il traffico con una divisa scintillante, col plauso degli astanti.
Domani i nodi vengono al pettine ed io decido. Finisco ufficialmente il dottorato e decido quanti e quali affitti pagare. Metto a posto le mie cose, nell’armadio che ho qui in prestito o nella valigia grande da stiva. Domani queste cose, quando vorrei soltanto dormire, o scrivere, o arrivare a guardare la morte premendo quel pulsantino di emergenza che nessuno sa che ho, che dice: fermate il mondo, voglio scendere!
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unwinkyselvatico · 9 months ago
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Ghali questa volta ha sbagliato a dire "stop al genocidio" durante il festival di Sanremo. La musica, la notorietà, non sono fatte per quello. E' molto più interessante il litigio nella casa del Grande Fratello. Anche Dargen D'Amico ha sbagliato ha dire che il nostro silenzio è "corresponsabilità" è molto più importante la storia del ballo del Qua Qua. Perchè un'artista dovrebbe parlare di botti che tutte le notti lasciano soli orsacchiotti? Perchè di un babbo che corre con un bimbo freddo in braccio, tenendolo avvolto in uno straccio, ne parlano gli artisti? Lasciamolo fare ai giornalisti, gli stessi che quando intervistano un giovane musicista, in un modo brutale, ci tengono a ricordare che è meridionale. Gli artisti hanno sbagliato ad utilizzare un palco così importante per parlare di quello che accade in Medio Oriente, è molto più facile leggere a Domenica In il comunicato di un'amministratore delegato che cita la strage di Hamas ed i lutti e si scusa con "parole che condividiamo tutti". Non a nome mio. Sentiamo in continuazione discorsi che parlano di Dio, ma in questi discorsi sento solo io, io e mio. E non basterà un po' di censura in televisione, per zittire le urla di mamme che si gettano nelle fiamme per cercare un bimbo che piange e che brucia, guardando in faccia un sogno che si infrange. In fondo, laggiù non ci sono futuri medici e artisti o avvocati, ci sono solo futuri rovinati. GHALI HA SBAGLIATO, PERCHE' HA FATTO LA COSA GIUSTA. Ma nella stessa Italia mafiosa che nasconde la testa dentro una busta, perché se non vedo te, tu non vedi me, se non guardo la guerra, la guerra non c'è. E se lo dici ad alta voce all'Ariston, dai fastidio e nessuno vuole sapere che al di là del mare è in atto un genicidio. Stronzi.
Pietro Morello
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